Testimoni:
AD
3, f. 23ra; Bart, ff. 45v-46r (a f. 45v prima dell’incipit
Dun texto molto anticho, sul verso dove prosegue la trascrizione sul margine superiore:
M(esser) francesco Petrarcha); Br, ff. 111v-112r; LR
2, f. 92rb; Mg
5, f. 56r; Naz
3, f. 164v:
Sone(tt)o di federigho di mess(er) geri darez(z)o; Ox66, f. 14r; Port, f. 13v:
Mess(er) giere darezzo; Pr
1, f. 18v; R88, f. 66v:
federigo dimess(er) geri dareçço (una copia del sonetto da questo manoscritto nel ms. della Biblioteca Statale di Lucca, 1486 (Möucke 1), f. 32r:
Federigo di ms. Geri d’Arezzo);
R103, f. 71r; R939, f. 101va; Ross
1, ff.
380v-381r; T
1, f.
53r-v:
federico de mes(er) geri da rezzo (sul margine inferiore di f. 53r una mano moderna scrive: «Stampato con qualche varietà nella Giunta al | Petrarca come componimento di lui. Vedi | l’ediz. Cominiana [si tratta dell’edizione stampata a Padova, presso Giuseppe Comino 1732] e V. anche il Catalogo de Ma|noscritti della Libreria Riccardi compilato dal Lami | p. 187»); V
3, f.
490r-v:
Di federicho decto chontro Amore (a margine di mano del Nelli «Ad questo sonetto | è da credere costui | essere stato coeta|neo del Petrarcha | p(re)sso alcuni que|sto adscrivono | al Petrarcha (et) | è stampato ne li | Petrarchi novi»); V5187, f.
11r;
v (
va:
va1 Vc1010, f. 69r; Ox
6, f. 65r;
va2 Vc1494, f. 50r; Est
2, f. 87r; Ox69, f. 100v;
vb:
vb1 Wo, f. 18v; Bo
1, f. 31v (79v); Mc283, f. 18r;
vb2 Mc
1, f. 137v; Vb359, f. 18v.
Non inserisco tra i testimoni il Marciano it. IX.142 che riporta a f. 29r un testo decisamente raffazzonato anche se mantiene alcuni versi del nostro sonetto.
Stampe:
1514 Manuzio, f.
C1v; 1515 Giunti, f. &3v; 1515 Paganino, ff. V6r-V6v; 1516, Griffo, f. V3r; 1516 Minuziano, f. C1v; 1521 Manuzio,
f. B1v; 1521 Manuzio (contraff.),
f. B1v; 1521 Paganino, f. V1v; 1521 Zoppino, f. &3v; 1522 Giunti, ff. A6r-A6v; 1523 [?] s.n.t., f. A3r; 1526 De Gregori, f. Bb1v; 1533 Iovino-Cancer, f. dd2v; 1533 Manuzio,
f. A6v; 1535 Ravano, f. A6v; 1546 Manuzio,
f. Z5r; 1547 Giolito,
f. DD5r; 1548 Brucioli, ff. m7v-m8r; 1549 Niccolini da Sabio, f. GG6va; 1550 Giolito, f. DD5v; 1550 Speranza, f. Rr4r; 1550 Tournes, f. C4r; 1551-1553 Giglio, f. P4r; 1552 Giglio, f. Rr5r; 1552 Giolito,
f. DD5r; 1554, Pietrasanta,
ff. Z5v-Z6r; 1557 Avanzo, ff. N6v-N7r; 1557, Rampazzetto, ff. m7v-m8r; 1559 Giolito,
f. AA4r; 1560 Giolito, f. 10r; 1560 Valgrisi, f. DD5r; 1582 Sedabonis,
f. Bbb4v
Bibliografia: Solerti,
Disperse, p. 159; Lami,
Catalogus, p. 187; Petrarca (1722), p. 125; Leporatti,
Sonetti attribuiti a Petrarca, pp. 206-9.
Nel secondo emistichio di v. 5, giustamente indicato da Leporatti come «il luogo più problematico del testo» i testimoni si presentano divisi in prima istanza in due gruppi, numericamente impari in quanto i manoscritti che hanno la lezione con
poi, pur in diverse articolazioni (
poi fiamma LR
2 Port R103 T
1,
poi la fiamma Mg
5,
poi gran fiamma i mss. di
v affiancati da AD
3 Bart Br Pr
1 R939 Ross
1 V5187) si contrappongono ai due che hanno
piova Naz
3 R88, cui va comunque collegato il
prova di V
3. La frase si svolge tra due versi con forte inarcatura, e apparentemente non c’è da eccepire al portato della maggioranza dei testimoni potendosi risolvere il problema quantitativo del v. 5 nella formulazione semplificata (
poi fiamma ardente /
veggia cader) con la lettura dieretica
poï, come proposto da Leporatti, ipotizzando le diverse integrazioni come compensative della misura; tuttavia la soluzione
piova, che interpretata come verbo è parsa ai precedenti editori inconciliabile col successivo
veggia, può essere riproposta, addirittura come
difficilior, in qualità di sostantivo:
piov’a fiamma ardente, col valore modale della preposizione, tipo
᾿l piover a cel messo di Folgòre,
Di novembre, 13, valido esempio anche se ci risulta unico di quella struttura nella banca dati dell’OVI, e col riscontro dello stilema della lingua d’uso «pioggia a catinelle». Si rovescia così il giudizio ecdotico: l’innovazione maggioritaria (
poi), banalizzante ma di natura non poligenetica, si giustifica soltanto con un passaggio (
x) comune a tutti i manoscritti eccetto i tre sopra indicati, i quali, in mancanza di riscontri che stabiliscano relazioni tra loro, hanno l’autorevolezza di testimonianze autonome. Queste si distinguono perché non accolgono altre innovazioni con tasso d’erroneità talvolta ben mimetizzato, che coinvolgono una buona parte dei manoscritti in subordine allo snodo segnato dei quali si arriva a stabilire la scalarità di posizione. Ai gradi più alti Port T
1 LR
2 Mg
5, che pur dipendono da
x, ma, dando conferma alla lezione di Naz
3 R88 V
3, non aderiscono alle variazioni degli altri ai vv. 2, 6, 8: così al v. 2
a la terra vs
a l’inferno, in contrasto col precedente abisso, complice, come vedremo più avanti, un richiamo a Petrarca, lettura che però interferisce con la scansione non casuale degli elementi superiori a v.1 (
cielo,
mondo,
gente) e di quelli inferiori al v. 2 (
abisso,
inferno,
animali); al v. 6 si danno due realizzazioni alternative a
cader di sopra introducendo
dal ciel, una determinazione non necessaria:
dal ciel cader su (
v [-Mc1] Br Ox66 Ross
1 V5187) e
cader dal ciel su (AD
3 Bart Pr
1 R103 R939 e Mc
1), in questo modo si palesa l’eco dell’
incipit petrarchesco
Fiamma dal ciel su le tue trecce piova, altrimenti velato con più artificio; al v 8
menzogne è vocabolo di senso negativo rispetto a
memorie, apparentemente neutro ma di sostanza più netta, e costituisce un facile anticipo del contenuto delle terzine (con una lezione singolare si distingue R103, che con
saete si rifà forse al verso precedente e ibrida anche l’elemento complementare
in tute in questo affiancato da R939). Gli stessi manoscritti sono implicati nell’inversione delle voci verbali in punta di verso, rispettivamente a 9 e 11 (
adeschi :
inveschi vs
inveschi :
adeschi), operata in due aggregazioni diverse al v. 9:
al tuo visco m’adeschi (
v Br Ross
1 V5187)
e al tuo (Pr
1 buon)
disio m’adeschi (Ox66 Pr
1 R103), con qualche turbativa come nel caso di Bart che, accogliendo
nel tuo disio ma senza lo scambio dei verbi, non si pone del tutto fuori dallo smottamento variantistico ma ne segnala la gradualità, ancor più leggibile questa nel
mio vischio m’inveschi di R939; per l’eziologia dello spostamento si può sospettare che una sollecitazione sia derivata dalla clausola petrarchesca
el cor s’invesca di
Rvf 211, 11, non è escluso nemmeno un richiamo all’ordine dei due verbi in rima in
Inf. 13, 57:59. Anche ai vv. 10 e 12 la reazione in presenza dell’identico aggettivo “vago” (
vaghi piacer /
vaghi segni), vede compatto il gruppo più numeroso di testimoni, compreso v insieme a Br Ox66 Pr
1 Ross
1 R103 V5187, che a v. 10 correggono
falsi piacer, con la defezione di AD
3 e R939 che lì mantengono
vaghi, ma il primo ha
falsi segni al v. 12, facendo immaginare una mobile presenza dell’attributo alternativo, e il Riccardiano risolve lì in
molti segni, come Bart che si muove in autonomia anche a v. 10 (
vari piacer). Questi scarti, che paiono sfuggire alla razionalizzazione, sono legittimati dalla spinta innovativa che progressivamente si afferma, e al massimo nella tradizione veneta, spinta che non esclude la resistenza individuale, come ad esempio quella di Pr
1 e R103 i quali mantengono al v. 14
ch’altri no, ma tu di fronte all’alternativa formulazione adiafora
e so ben ch’altri no(n) che tu m’intendi, mentre peggiora le cose R939
ch’altri che ttu già non m’intendi. A
v e pochi fedelissimi (AD
3 Br Ross
1 V5187) si imputa anche al v. 3
possi vs
poss’tu; ancora si può scegliere tra
ch’io e
che al v. 13, non per ragioni di maggioranza ma considerando la variante col pronome meglio attestata nei testimoni più ‘autorevoli’. Tornando ai piani più alti sotto
x, la scansione tra Port T
1 LR
2 Mg
5 si può ulteriormente affinare:
crudo nella serie di aggettivi al v. 4 è in Port T
1 e nei tre manoscritti (Naz
3 R88 V
3) da
x indipendenti, e questo avvalora la variante rispetto all’adiafora
duro che è lezione della maggioranza numerica (ma non stemmatica): il fatto che a concordare siano tutti testimoni che presentano l’attribuzione a Federico di Geri ripropone significativamente la corrispondenza tra il dato esterno e l’elemento testuale. Si scende così di un grado per LR
2 e Mg
5 che riportano
duro: i due manoscritti potrebbero considerarsi collaterali se si dà valore a
ovrar /
oprar invece di
parlar (v. 9), mentre non sono soli nel singolare di
piacer a v. 10.
Il sonetto-invettiva contro Amore, identificato dagli accessori al v. 7, si presenta bipartito nell’articolazione della sintassi e del contenuto: le quartine, collegate da una decisa inarcatura, espongono in una serie di coordinate le forme dell’offensiva, mentre le ragioni dell’ostilità sono espresse nelle terzine, organizzate in un’unica causale scandita da
poi /
poscia, risolta con uno scarto paraipotattico nell’allocuzione del verso finale. Si gioca sul ritmo della scansione trimembre ai vv. 1 e 2, in ampio iperbato che si conclude al primo emistichio del v. 3, e così l’effetto degli aggettivi tutti negativi al v. 4, due coppie giocate anche nell’alternanza del computo sillabico, ha ripercussione al v. 5 sull’interlocutore (
empio…sconoscente «anche contro di te», la costruzione con
a si riconosce all’ultimo attributo), con forte pausa in cesura prima della ripresa di un fluido giro sintattico che supera il limite versale tra i vv. 6-7.
Quanto osservato rileva la struttura non corriva del sonetto, nel quale le tessere autorevoli utilizzate nella realizzazione non vengono dissimulate: elementi già seriati in testi petrarcheschi nei due versi iniziali,
in cielo od in terra (come tra i testimoni del sonetto)
od in abisso di
Rvf 145, 9 e
il mondo e gli animali di 50, 50, ognuno dei quali, come si è già osservato, indica un livello, superiore / inferiore, con corrispondenza anche dei singoli termini
cielo /
abisso (quest’ultimo «l’inverso speculare del cielo», così Bettarini per 145, 9),
mondo /
inferno, con la specificazione
gente come l’insieme delle creature umane viventi opposto ad
animali. Viene volto in improperio il
topos della potenza di Amore,
topos presente in auto-elogio anche nel
Dialogo di Geri: «Scis me celo, terris, infernisque regnatorem» e questo riscontro, pur trattato col dovuto tuziorismo, presenta qualche suggestione riguardo la questione attributiva.
Il v. 14 applica la distinzione di
Rvf 95, 14 «e so ch’altri che voi nessun m’intende» in «autocitazione» (Bettarini) da 71, 23 «altri che voi so ben che non m’intende», (nei due casi petrarcheschi altri è relativo agli occhi), distinzione accentuata qui dalla movenza correttiva
no ma, movenza che ha di per sé una casistica abbastanza estesa nel Canzoniere (28, 85; 268, 80; 282, 11; 328, 14; 360, 150). Altri elementi si allineano nella medesima direzione: l’accusa
cagion di tanti mali suona generica anche se ritrova una corrispondenza in «cagion m’è, lasso, d’infiniti mali» indirettamente rivolta ad Amore in
Rvf 86, 6, e per completezza dei crediti petrarcheschi anche la
fiamma ultrice di v. 5-6 in rapporto all’incipit di
Rvf 136. La coppia dei verbi in rima
inveschi :
adeschi (9:11) rinvia, come si è detto sopra, a Dante (
Inf. 13, 57
col dolce dir m’adeschi : 59
a ragionar m’inveschi), e tale autorità si conferma per l’accostamento del verbo
dicendi; ‘invescare’ ricorre più volte anche nel Canzoniere (mai invece ‘adescare’) collegato almeno in tre casi (83, 6; 165, 5; 211, 11) al cuore.