Testimoni:
Ox
6, f. 102r;
R103, f. 59r:
Soneto di mess(er) franciescho
Bibliografia: Solerti,
Disperse, pp. 157-158; Massèra,
Rime, pp. CXXXV, 192; Proto [Recens. Massèra], p. 116; Branca,
Rime1, p. 351; Lanza,
Rime, pp. 122-123; Leporatti,
Sonetti attribuibili, pp. 223-225; Sapegno,
Disperse, p. 611; Muscetta-Ponchiroli,
Disperse, p. 581; Bigi-Ponte,
Disperse, p. 341.
Schema metrico: Sonetto ABBA ABBA CDE CDE con rima imperfetta A per diversa resa grafica della consonante geminata
Due diffrazioni mostrano come i copisti abbiano reagito in modo diverso di fronte a espressioni difficili o facilmente equivocabili del testo: v. 4 R103
quando fuori cholzafir da sera, Ox
6 q. che fuora el zeffiro dissera, sciolta ottimamente dal Massèra in q
uando fuori Eol zeffiro disserra, cioè ‘quando Eolo libera il vento zefiro’, osservando che «le storpiature corrispondenti chol di F
19 ed el di O
1 permettono di ripristinare Eol», calco di
Purg. XXVIII 21 «quand’Ëolo scilocco fuor discioglie» (con analoga casistica di errori nella tradizione stando all’apparato Petrocchi), da cui anche
Ts III 27 «Non escon delle sicule caverne, | allora ch’Eol l’apre, sì furenti | […] li rabbiosi venti» (Solerti:
Quando Zeffiro fuori si disserra, forse memore di
Par XXIII 40 «Come foco di nube si diserra», ma nei testimoni non è traccia del pronome riflessivo); v. 10, Ox
6 bochulchi e R103
bolchi corr. su
chanpi (forse una glossa incorporata per errore a testo), per
bobolchi, con rinvio dei commentatori alle «buone bobolce» dello stesso canto del
Par, v. 132 (Solerti
bifolchi come in
Rvf 323, 41). Più problematica la questione della terzina finale, dove i due codici presentano una diversa lezione, addirittura alternativa nel verso finale. Eccole a confronto:
Ox
6 Ma
so che per amor me descoloro
echui disio piu cha sperança engombra
modo trovar non posso
conl mio pianto.
R103 ma
io che peramor midischoloro
alchun disio piu che speranza ingonbra
cheriposar noposo
tanto oquanto.
Con gli editori precedenti, si può accordare la preferenza a R103 al v. 12,
Ma io (Ox
6 Ma
so) per la tipica contrapposizione tra le entità enumerate in precedenza che con l’avvento della primavera trovano quiete e l’‘io’ del poeta che al contrario continua a tormentarsi (per es. Bocc.,
Rime II 9,
Rvf XXII 37, ma già
Et io con lo stesso valore avversativo al v. 7), e in Ox
6 al v. 13
e chui (difficilior rispetto a
alchun, generico indefinito che attenua la forza dell’affermazione rispetto all’altro termine comparativo
speranza, e pone anche problemi di sintassi nel contesto). Difficile invece dire a quale delle due lezioni del verso finale dare la priorità. Quale potrebbe essere stata la molla che ha indotto un copista a modificare il testo a suo piacimento? Forse una lezione come
cheriposar con il
che ripetizione di 12? Oppure la ripetizione in rima di 11
alquanto e 14
tanto o quanto? Tenendo presente che il sonetto è adespoto nel primo testimone e attribuito a Petrarca nel secondo, e quindi guardandoci dal restringere l’analisi all’alternativa fra questi e Boccaccio, si rileva che nel
Fs c’è un verso molto simile a questo nella ‘versione’ di R103 (con presenza anche della rima in
-anto): V 23 «– O Pandar mio, – disse Troiolo, fioco | per lo gridar e per lo lungo pianto – | che farò io ?, che l’amoroso foco | sì mi comprende dentro tutto quanto, |
che riposar non posso assai né poco?» (:
tanto). A questo si aggiunga almeno che, per Boccaccio e con lui per tanti rimatori meno esigenti di Petrarca, non è un problema neppure la quasi identità della rima (e si noti anche la ripetizione di 9
posarsi, 11
riposarsi, 14
riposar: ripetizione meccanica o insistito parallelismo?): cfr., per es., il distico finale ancora di
Fs IV 44, «null’altro faccendo | che pianger forte, dimoraro
alquanto, | sanza parlar nessuno o
tanto o quanto». Bisognerà quindi seguire la lezione di R103 correggendo
cheriposar in
riposar[
e]. Riesce più difficile immaginare una ragione per la dinamica opposta Ox
6 → R103. Al v. 1 si accoglie da Ox
6, come già Solerti, la congiunzione (non la forma del predicato, forse per erroneo scioglimento del compendio,
eperduçer), che trova un qualche riscontro nell’inaccettabile
che di R103:
Il mar tranquillo e produce· la terra (conservando l’infinito ‘narrativo’
producer come
girarsi e
rallegrarsi dei vv. 2 e 3). Al v. 8 si segue, come già Branca, R103 «
e pace
e triegua» ( ‘sia... sia...’), contro l’equivalente Ox6
o…
o (Solerti e Massèra
e…
o). A sua volta Ox
6 presenta un errore, ai vv. 5-6 «ò già ueduto,
e se ’l uero non èra |
ueder le dòne» ecc. (
se ’l veder…
vegio), e alcune varianti adiafore: 2
fiori et erbete (
fiori ’ erbette), 3
e gli uçei …
alegrarsi (
e gli ucelli…
ralegrarsi). Per quest’ultimo verso, si adotta la lezione già proposta da Solerti, «gli ucei più che l’usato ralegrarsi», corretta dal Massèra e dagli altri editori in «gli uccelli più che l’usato alegrarsi».