Testimoni:
R103, f. 58v:
Soneto di mess(er) franciescho
Bibliografia: Solerti,
Disperse, pp. 238-239; Massèra,
Rime, pp. CXXXIV, 180; Proto [Recens. Massèra], p. 116; Branca,
Rime1, p. 349; Lanza,
Rime, pp. 110-111; Leporatti,
Sonetti attribuibili, p. 222.
Schema metrico: Sonetto ABBA ABBA CDE CDE
Il testo è tràdito dal solo R103. Dopo aver trascritto la lezione del codice si discutono gli interventi che sono stati proposti dai vari editori e si giustificano quelli qui accolti: v. 7 «o uergine terene otra be fiori»: Solerti omette
o di
otra, a partire da Massèra si è corretto
o in
e; la sintassi richiederebbe tuttavia un relativo e quindi si potrebbe interpretare
o’ come
ove riferito a armonia: ‘O celeste armonia, la quale seguivano non saprei dire se splendori angelici (angeli) o vergini terrene, nella quale si muovevano danzando tra i bei fiori e le piante’ (in alternativa si potrebbe attribuirgli un valore esclamativo: «o vergine terene; oh, tra be’ fiori | e le piante danzando si movièno!», sul tipo, per intendersi, di
Purg. XXX «‘Manibus, oh, date lilïa plenis!’); v. 9 «Chi chonestile ornato e chi chon pegriso»: Solerti «… e chi con
priso», nel senso di ‘pregio’, con ipotesi interessante, che consentirebbe di ridurre al minimo l’intervento limitandosi a cambiare solo la parola sicuramente sbagliata,
pegriso, ma arcaismo difficile da accettare in un testo che mostra ben più d’un semplice sentore di Petrarca (fra i contatti più evidenti, già indicati da Bianchi, per i vv. 1 e 12
Rvf 126, 10 «aere sacro, sereno» e 63 «credendo esser in ciel, non là dov’era»; per 9
Rvf 312, 6 «né dir d’amore in stili alti et ornati», e per 14
Rvf 86, 2 «onde Amor m’aventò già mille strali»), per cui bisogna risalire oltre il Trecento: cfr. Guittone, fra i vari esempi, Contini
Poeti del Duecento 11, 35 «ché, quanto più de vil, più de car priso»; ed. Egidi son. 178 «Ahi, che valente e coronato priso», 199 11 «vertù fugir a vita, a prode e priso»). Coglie probabilmente nel segno il Massèra che legge
preciso dietro
pegriso, con ricordo di
Par XVII 34 «ma per chiare parole e con preciso | latin, rispuose quello amor paterno», e, non in rima, V 48 (per Boccaccio vedi
Rime XC, «Mai non potei […] | nell’intelletto comprender preciso | qual più mirabil si fosse di quelli»); la conservazione del trisillabo provoca però ipermetria, risolta dal Massèra eliminando il secondo
chi («Chi con istile ornato e con preciso»); dovendo intervenire, è preferibile ridurre il secondo
con a
(i)n, perché la conservazione dei due chi permette di considerare alternativi stile ornato (‘elegante, ricercato’) e stile preciso (‘asciutto, conciso’); v. 10 «discriuere ne potria leuedute »: Solerti corregge
Discriver ne potrebbe, mentre Massèra, seguito da Branca, restaura tale e quale la lezione del manoscritto con endecasillabo di 2
a e 7
a non comune neanche nella poesia prepetrarchesca; con il Lanza si può intervenire come di
routine eliminando la finale del verbo e leggendo in forma dieretica
potrïa; v. 11 «beleze,
omai movesti fra’ mortali» per anticipazione di 13
muover: fra le soluzioni proposte – Solerti
omai non resti, Massèra
omai non viste, Branca
omai mo’ viste «più probabile graficamente e più precisa e chiara per il senso (solamente ora…)», Bianchi e Lanza
mai non viste – seguiamo il Massèra salvo per la conservazione della forma
no viste (vedi
Rvf 158, 11 «mai non vedute più sotto le stelle»; 192, 6 «l’abito eletto, e mai non visto altrove»;
TC II, 118 «Nove cose e giamai più non vedute»; l’espressione è frequente anche in Boccaccio, per cui mi limito all’esempio di
Ts XII 84 «nel volgar lazio più mai non veduti»); v. 13 «muouer
senti [
breve spazio]
secreta uirtute»: l’integrazione proposta dal Massèra,
senti’ una virtute, implicante dialefe dopo vocale accentata, non ha giustamente soddisfatto Branca, che è tornato alla soluzione già adottata dal Solerti
sentii secreta virtute, seguito da Lanza; potendosi dare altre soluzioni, come per esempio
sentivo v., preferisco lasciare lacuna al posto della sillaba mancante. Solerti interviene anche al v. 4 «
De’ qua’ un dì vidi un bel giardin ripieno» (ms.
dequal iuidi). Tutti gli editori sono intervenuti più o meno pesantemente sulla forma, che si restituisce qui con fedeltà al testimone unico (tra parentesi le correzioni degli editori): 1
filice (felice), anche fiorentino; 2
albuscelli (arboscelli, arbuscegli), è anche nell’autografo del
Ts III 29 e VII 54; 6
sprendori (splendori).