SP177

   Nel prato dentro alla bella riviera,

dove le piante verzicanti e belle,

tra i fior cresciute e l'erbette novelle,

fan sempre una novella primavera,


   talor si pare una novella spera

co' crin d'orgeminata di due stelle,

andar sovr'esseper le cui fiammelle

par esta selva una celeste schera.


   Poi volgo gli occhi via del mirar lassi

per la debilitàe 'l duro core

riman co⸱ leiche l'à presa per duce,


   et io mi parto a llenti e pigri passi

come quel si conduce ove po' more

ch'agli occhi e' va com'uom ch'è senza luce.



Testimoni:
ζ
   LR2, f. 92va: Sonetto [attribuzione collettiva a f. 90va: Seghueno anchora canzoni esonettj | di mess(er) franciescho petraccha];
   Mg5, f. 28r: petrarcha.

Bibliografia: Solerti, Disperse, p. 234; Di Benedetto, Col Petrarca minore (1949), pp. 68, 75.

Schema metrico: sonetto ABBA ABBA CDE CDE

Il sonetto è tramandato alla coppia LR2 Mg5, congiunta dall’errore 8 esc(h)a. Anche la lezione 5 (s)apre condivisa dai due testimoni, dovendo reggere al v. 7 andar (sovr’esse, cioè ʻsopra le pianteʼ, v. 2), non può essere accolta, e andrà dunque annoverata tra gli errori congiuntivi della tradizione (ζ). Una serie di luoghi in cui s’impone il ricorso a congetture abbastanza economiche per raddrizzare l’ingarbugliata sintassi del testo, e che si analizzeranno di seguito, riconoscendo in tali lezioni guasti caratteristici della fonte comune, offrono altri indizî probabili della stretta affinità del testimoniale.
Le proposte di Di Benedetto per questo sonetto sono particolarmente acute (né lui né il Solerti conoscono però la testimonianza del codice di Lorenzo Strozzi): per il già ricordato v. 7, lo studioso propone pare, ottimo per salvare la sintassi; per maggiore aderenza al materiale verbale del testimone prescelto (LR2) sembra però meglio restituire si pare, considerando talora una scrizione soprannumeraria (d’altra parte Talhor è in Mg5). Utile sembra pure accogliere 4 fan, che eviterebbe sia l’anacoluto che si produrrebbe altrimenti nei vv. 1-4 (Nel prato… dove le piante verzicanti… par sempre una novella primavera), sia la ripetizione del verbo ʻparereʼ, che al v. 4 e 8 assume il medesimo significato di ʻsembrareʼ, a differenza che per il v. 5, dove vale ʻsi manifestaʼ, ʻsi mostraʼ: la forte somiglianza nella consistenza fonica tra le due voci verbali e la ripetizione dello stesso verbo pochi versi più avanti, giustificano sufficientemente l’eziologia dell’innovazione. Resta invece la problematica triplice ripetizione dell’aggettivo novella / -e nel giro di tre versi consecutivi (3-5), che si è incerti se ritenere frutto di un incondito esercizio poetico o se accidente meccanico (caso nel quale si avrebbe un’ulteriore conferma della stretta relazione tra i testimoni); sarebbe forse troppo pensare al senhal di una Novella; si noti che il fenomeno si presenta però già in due versi consecutivi (1-2) col trito aggettivo bella / -e; non va dunque del tutto escluso il vezzo (o a l’imperizia) d’autore.
Tra le proposte di Di Benedetto non convince invece 5 Espera che identificherebbe la protagonista della visione con una ninfa («è la Ninfa Esperia di cui al v. 161 del 2° capitolo del Trionfo d’Amore»): l’intero contesto sembra giocarsi sulla luminosità prodotta proprio da una ʻstellaʼ (spera, cfr. GDLI, s.v. ʻSpera1ʼ, 1) e sulla trasfigurazione che il suo passaggio provoca, trasformando il placido quadretto silvestre in un’immagine celestiale (v. 8 par esta selva una celeste schera): d’altra parte la necessità di distogliere lo sguardo da madonna (v. 9), si addice meglio alla raffigurazione in forma di corpo celeste, piuttosto che a una donna rappresentata come ninfa (che lo sguardo non riesca a reggere la vista della donna, anziché del panorama illuminato, lo suggeriscono i versi immediatamente successivi, 10-11 e ’l duro core | riman co⸱ lei, che l’ha presa per duce). D’altra parte Di Benedetto salvava nel suo testo la lezione banalizzante di Mg5 gemmata aggiungendo del suo per salvare l’endecasillabo (ingemmata). Molto più apprezzabile la qualità della lezione di LR2 gierminata, che permette di congetturare geminata, cioè ʻposta in congiunzione con un altro corpo celesteʼ (TLIO, s.v. ʻgeminatoʼ, 3, cfr. Cecco d’Ascoli, Acerba, L. 2, cap. 2, 833 «Sette ricetti per ciascun pianeta | son nella madre, però sette nati | nascere posson, come vidi a Leta. | Questo adivenne per lo molto seme | ed anche per i segni geminati | quando li lumi s’accinvono insieme»): l’amata è dunque descritta come un astro in cui la chioma si paragona alla coda di una cometa, e gli occhi a due stelle poste in congiunzione nel suo viso.
Cercando di mantenere un approccio conservativo, Solerti non ha rinunciato qualche congettura che non sembra il caso di riproporre a testo. Al v. 8 ha provato a salvare l’errore esca leggendo salva in luogo di selva (per le cui fiammelle | par esca salva una celeste schiera): ne risulta un’immagine senz’altro più stentata e che perde un po’ troppo il suo legame con il contesto descrittivo. I vv. 10-11 sono stati rielaborati con eccessivo coraggio, ritenendo che il duro core fosse attributo da riportare meglio all’amata che non all’amante (complice anche l’errata lettura di riman con teman in LR2, come si deduce dall’apparato): che ’l duro core | temon di colei c’han presa per duce. Inammissibile la sostituzione di 2 verzicanti (attestato una cinquantina di volte nel Corpus OVI) con vegentanti.
Nessuna delle soluzioni proposte dai due editori per il v. 13 sembra soddisfacente: Solerti interviene in modo più pesante con Come fa quel che si conduce u’ more; Di Benedetto com fa qual si conduce ove poi more, che mantiene peraltro l’ipermetria e sostituisce senza necessità il dimostrativo originario. Nella tradizione si oppongono la lezione sospettosamente limpida di Mg5 (come chi siconduce oue poi muore), che la presenza di una variante marginale (Come fa chi sadduce oue poi more) incoraggia a considerare un rimaneggiamento (lo Strozzi potrebbe aver cercato una nuova congettura servendosi del materiale verbale a disposizione nel suo antigrafo, ed è interessante che anche in questa variante si trovi il verbo fa), e la lezione ipermetra di LR2 Chome fa quel siconducie ove pomore. La soluzione più economica sembra di dover considerare fa un’inserzione prosastica, volta a chiarire meglio il senso di un originario costrutto con ellissi del complementatore ʻcheʼ: come quel [che] si conduce ove po’ more. Il paragone con l’uomo condannato al patibolo è ampliato al v. seguente (ch’agli occhi e’ va com’uom ch’è senza luce), dove senza luce varrà ʻciecoʼ; (il GDLI, s.v. ʻLuceʼ, 6 non registra occorrenze prima del sec. XVI, ma cfr. già Boccaccio, Ninfale, st. 68, 8 «Ma vo errando com’ uom sanza luce»), ma nel significato più specifico di ʻcon lo sguardo spentoʼ, e agli occhi ʻallo sguardo di chi lo osservaʼ (cfr. f Deca terza di Tito Livio (B, L. I-II), L. 2, cap. 29, p. 69: «acciò il Romano d’alcuna parte non assalisse la schiera inchiusa nelle valli, seco pensò un nuovo giuocho, a vedere terribile agli occhi, ed a potere con esso ingannare il nemico»).
Al v. 9 resta indeciso il valore da attribuire a via, se cioè esso specifichi l’azione espressa dal verbo ʻvolgereʼ (volgo… via) o se piuttosto serva a conferire valore durativo (ʻvieppiù lassi di mirareʼ). Sulla scorta della lezione di Mg5 & il, si può correggere LR2 il (duro), con un asindeto un po’ troppo duro, postulando a monte el (= e ’l), interpretato dal copista del Rediano come un articolo semplice. Si segnala qui la lieve differenza nel trattamento della rima che si verifica in Mg5: mentre in questo testimone, al v. 1, riuera è più aderente al tessuto fonico delle seguenti 4 primavera : 5 spera rispetto a riuiera di LR2, per il v. 8 la situazione si capovolge, con l’impiego del dittongo in Mg5, e la forma monottongata del testimone adottato come testo-base.
Stante la dipendenza dei due latori del testo da un unico antigrafo, l’attribuzione petrarchesca non ha sufficiente credibilità. Seppure non si tratta di elementi dirimenti, vanno ammesse anche scelte poco consone al gusto petrarchesco sul piano retorico – come la ripetizione degli aggettivi novella / -e, bella / -e nei vv. 1-2 e 3-5 e lo stacco repentino e impacciato del v. 9, introdotto da poi – e sintattico – come, al v. 11, il che con valore cataforico o di subordinatore generico (cfr. in proposito Dardano, Sintassi, II, p. 699) da riferire a duro core.
2 (segno di croce) mrg. sinistro Mg5
4 fan] par ζ
5 talor si pare] Talora sapre LR2 Talhor apre Mg5 ~ una novella spera] una il ciel nouella spera+(segno di croce) mrg. sinistro+il proprio / una nouella spera mrg. destro Mg5
6 co’ crin d’or] coi crini dor (← doro con -o depennato) Mg5 ~ geminata] gierminata LR2 gemmata Mg5
7 sovr’esse] souressa Mg5
8 (segno di croce) mrg. sinistro Mg5 ~ esta] esca ζ
9 del mirar] di m. Mg5
10 per la] p(er) loro Mg5 ~ e ’l duro] il duro LR2 & ilpuro Mg5
13 (segno di croce) mrg. sinistro+Come fa chi sadduce oue poi more mrg. destro Mg5 ~ come quel si conduce] Chome fa quel si conduce LR2 come chi si conduce Mg5 ~ muore] more Mg5