Testimoni:
AD4, f. 317v: Sonetto fatto p(er) mess(er) franc(esc)o [marg.: N° (om.)]
Bibliografia: Pasquini, Codice Scarlatti, p. 364.
Schema metrico: sonetto ABBA ABBA CDE CDE
Più attenta del solito, la trascrizione di Filippo Scarlatti necessita per questo sonetto di un solo aggiustamento: stante la rima E:
bosce (v. 11) / F:
machora (v. 14), secondo uno schema di sirima che non risulta contemplato dalla nostra tradizione lirica (cfr. lo spoglio dei terzetti irregolari in Biadene,
Morfologia, pp. 41-42), sembra legittimo emendare il testo ricostruendo me
cosce, ʻmi fa soffrireʼ (abbondantemente documentato dal
TLIO, s.v. ʻcuocereʼ, 2.4 e 2.4.1), dove è il facile postulare lo scambio
me >
m’a- e
-ce > -
ra, specie nel caso in cui a monte sussistesse una scrittura mercantesca dai tratti pesanti, come quella del copista-scrittore.
Ci si può limitare dunque a minime chiose. Al v. 3,
seguire il vento alle seconde ha il valore di ʻnavigare con il vento a favoreʼ, secondo una locuz. che, sia pure solo nella forma singolare, è abbondantemente documentata dal
GDLI, s.v. ʻSeconda1ʼ, 6, anche nel senso figurato. Il verbo
infonde, al v. 7, che nell’italiano antico ha comunemente il significato di ʻimmergereʼ, ʻinondareʼ (
GDLI, s.v. ʻInfondereʼ, 1 e 3), varrà qui necessariamente ʻaffondaʼ. Al v. 13, sembra opportuno interpretare finirò come ʻsmetteròʼ, secondo il lemma del
TLIO, s.v. ʻfinireʼ, 2.
La prepotente presenza dei
Fragmenta è già stata rilevata da Pasquini, che parla per il sonetto di «accademia petrarchesca», segnalando l’evidente contatto con
Rvf 134 (
Pace non trovo, et non ò da far guerra) – ipotesto che parrebbe coscientemente dichiarato, se dal richiamo implicito dell’
incipit si passa all’esplicita citazione al v. 12 – e v’intravede «toni forse proprio trecenteschi». Dato il protratto investimento metaforico sul
topos della
navicula, vale la pena menzionare anche i contatti più tematici che verbali con i sonetti
Rvf 189 e 235 e con la sestina
Rvf 80; ma non si può trascurare neppure l’evidente ricordo della memorabile chiusa «I’ vo gridando: Pace, pace, pace» di
Rvf 128, 123 chiaramente presente al v. 8
chiamando ʻPace! Pace!ʼ ad alta bosce. Supporta l’
emendatio al v. 14, la ripresa della rima
bosce :
cosce da
Rvf 23, 63 : 67 («mercé chiamando con estrania voce […] | Qual fu a sentir? ché ’l ricordar mi coce») adoperata dal Petrarca in un’analoga situazione.