Testimoni:
L17, f. 68v (> L41.2, f. 46va)
Bibliografia: Solerti,
Disperse, pp. 225-26.
Schema metrico: Sonetto ABBA ABBA CDE CDE
In questo limpido sonetto sul motivo della pietà di Madonna solo un luogo al v. 2 sollecita qualche riflessione, che permette di ravvisarvi diverse opzioni ugualmente valide. Muovendo dalla
facies del manoscritto,
Uiua qualu(n)qua se ben sa contento, lo scioglimento più naturale è certamente
Viva qualunque, se ben sa, contento, “Viva felice chiunque, se ne è capace”, che accolgo a testo. La clausola
se ben sa non annovera veri e propri esempi gemelli, ma è corroborata da casi accostabili quali Dante,
Inf. VIII vv. 81-82, «Sol si ritorni per la folle strada: | pruovi,
se sa; ché tu qui rimarrai»; Antonio da Ferrara,
Rime, IV v. 18 «A chi,
se sa ben dir, ben dir non lice?»; Antonio Pucci,
Rime, 8 v. 8: «
Se sa correr, corra», e soprattutto, con analogo inciso, Francesco di Vannozzo,
Rime (ed. Medin), CXLVIII v. 12: «Mo faza ben,
se sa, pianeto o stella!».
La lettura di Solerti,
Viva qualunque, se ben s’ha, contento, “Viva felice chiunque, se ha del bene” – con il diffuso uso pronominale
aversi del verbo
avere, di cui nemmeno occorrere allegare esempi (Dante,
Vita nuova, cap. 21 par. 5: «Questo sonetto
si ha tre parti»;
Intelligenza, 18, v. 1: «La terza pietra
si ha nome Allettorio»; Chiaro Davanzati,
Rime, canz. 24 vv. 31-32: «perché il podere e’
s’ha, | dicane ciò che sa») – è indubbiamente più ricercata, e però francamente artificiosa. Essa indirizza tuttavia verso un’ulteriore possibile pista:
Viva qualunque, se ben s’à contento, con
aversi pronominale,
bene avverbio rafforzativo (come in numerosissimi casi, Dante,
Rime, canz. 18 [App. V], v. 27, «Ben avrà questa donna cuor di ghiaccio»; Pucciandone Martelli,
Lo fermo intendimento k’eo agio, v. 83, «Ben aggio speramento»;
Novellino prima red., 74 [254.16]: «Se io piango, io òe bene ragione e cagione»; Gradenigo,
Quatro Evangelii, c. 20 v. 101, «Se uno avesse ben pecore cento») e
contento lemma sostantivale (TLIO
ad vocem (2)): “Viva qualunque (beato amante), se ha ben felicità”. Come uso affine si potrebbe richiamare quello di Finfo,
Se long’uso mi mena, v. 32: «Però, chi ben è sag[g]io | e vede ben, e’ s’à gio’»; e si noti pure che
contento sostantivale in rima con
tormento e
lamento si trova in sede B anche in SP059
Del loco, dov’è sol. Questa soluzione avrebbe dalla sua il vantaggio di sopprimere il faticoso inciso, promuovendo una più agile sintassi, oltre che certamente una più elegante lettura, ma lascerebbe il congiuntivo
viva ‘assoluto’, avulso da complemento predicativo. È pur vero che
Viva + aggettivo non pare godere di una qualche diffusione all’altezza cronologica dei testimoni in oggetto: l’apparentemente comparabile «Vivi felice» di SP096, in quel sonetto – si badi – già vistosamente cinquecentesco, è invece una formula di congedo (dall’
eterno frutto lì menzionato) tipica dell’epistolografia rinascimentale («Viva felice», come
Vale felix). E tuttavia, malgrado questi argomenti, che rendono le alternative certamente possibili, rimane in ultima analisi preferibile per il senso che l’ottativo sia integrato da un complemento,
viva contento, rispetto a un
viva esclamativo puro, attestatissimo sì nel Trecento, ma deputato, come oggi, a un contesto di acclamazione piuttosto che di augurio (
viva l’imperatore;
viva il popolo; etc.).
La sineresi
non5 ho6 di7 bea8to9 del v. 1 è notoriamente un fatto prosodico anomalo (Menichetti,
Metrica italiana, pp. 206-211): la tendenza di Solerti a ‘petrarchizzare’ il testo gli ingiungeva perciò l’emendamento
non5 ho ˆ a6 be7a8to9, mentre naturalmente qui si opterà per preservare il testo tradito, di cui anzi tale eccezionalità accresce l’interesse.
L17 e il suo
descriptus si distinguono per minime varianti formali o grafiche: 5
poy >
poi; 7
penssier >
pensier; 8
& >
e; 9
benigno e masueto >
benignio emansueto; 9
orgolyo >
orgolio; 11
fauile >
fauille; 12
suoy belgi ochi >
suoi begli occhi, fra cui si noti in particolare per v. 9 che
masueto e
masuetudine contano nel corpus OVI attestazioni troppo poco eccezionali per pensare a un errore, con una ricorrenza immune da ogni sospetto nelle
Epistole di Girolamo da Siena (tosc. > ven.).