ES30

   Io mai non vidi  da meza notte

se no⸱ sta notte    che m'apparve Amore

con gran rumore,    ch'in l'arco le ballotte

facea dar botte    per svegliarme il core.


   Con un splendore    di faville rotte

d'altre più cotte    e di maggior fervore,

 Vediil signore    parea dir darotte

morte se no⸱ tte    svegliOr  il migliore.


   I' non potei dir  Èccome presto,

che questo   giunse al cor con due di quelle

che guai la pelle    s'io non fussi desto!


   Poi che mi vesto    al smarrir delle stelle

vidi fra belle    donne un viso onesto

che giosa il testo    con †dolci sue amielle†.


Bibliografia: Debenedetti, Per le disperse, pp. pp. 99-100.

Schema metrico: sonetto A(a5)B(b5)A(a5)B(b5) A(a5)B(b5)A(a5)B C(c3)D(d5)C(c5) D(d5)C(c5)D

Quasi sempre soddisfacente la testimonianza di Bo1(5), f. 204r, parte del tardo agglomerato sopraggiunto a completare la raccolta di rime antiche allestita negli anni da Ludovico Beccadelli e Antonio Giganti; ad essa si affianca soltanto quella di R939 (f. 102ra), più antico ma anche più corrivo e propenso alle innovazioni. Sua l’attribuzione petrarchesca, entro una silloge esplicitamente dedicata al poeta (a f. 101ra la rubrica «Sonetti fatti p(er) mes(ser) francescho petrarcha poeta fiorentino») che inserisce il sonetto tra Rvf 322 e Rvf 120: essa rimase ignota al Solerti e fu segnalata per la prima volta da Debenedetti, Per le disperse, pp. 99-100. Nel codice bolognese il testo si presenta invece adespoto, posto in una zona di confine tra una serie guinizelliana e un’altra di testi missivi petrarcheschi che dà voce anche ai corrispondenti.
Discostandoci da Bo1(5) al v. 8 stanotte, si postula una diffrazione in assenza (ma sul piano meramente sostanziale essa si può pure definire in presenza) ricostruendo se no⸱ tte (: darotte), secondo le indicazioni di R939 seno(n)ti; forma assicurata dall’incongruità della lezione del codice cinquecentesco. Ancora per osservanza alla testura metrica si accoglie 10 questo (: presto) di R939, contro il testimone base (questi). Al v. 3 si amplia infine rumor di Bo1(5) nella sua forma piena e «ancipite» rumore (romore R939), «trisillabo per la rima, bisillabo invece per il verso», secondo una fenomenologia scrutinata da Menichetti, Metrica italiana, 543-548 (la citazione a p. 546). Merita di essere conservata al v. 14 la forma giosa, ʻchiosaʼ, verbo, di Bo1(5), attestato in area padovana (Maramauro, Exp. Inf., cap. 15, p. 275: «Esso serva questi testi a la sacra teologia a giosare»; ivi, p. 277: «Questo fo figlio de miser Acorso, quello che giosò tut’el corpo de raxone»). Solo adiafore alcune alternative di R939: 1 non vidi mai; 1 di mezza; 3 co⸱ l’arco (con sintassi enumerativa, comunque meno persuasiva del meno ovvio accusativo alla greca del bolognese); 4 fatt’à dar; 14 sue dolsi.
Il repentino mutamento nella situazione narrativa, rende incerto il restauro del guasto prodottosi nell’ultimo emistichio del v. 14, che annoda i due testimoni in un rapporto di collateralità. Abbandonando repentinamente la figurazione allegorica, il sonetto sembra proiettare la situazione su un piano metatestuale in cui a Madonna si assegna il ruolo di destinataria e interprete del sonetto; a giosa sembra infatti opportuno assegnare il significato di ʻintendere qualcosa o di sottinteso o di difficile comprensioneʼ (cfr. Dondi, Rime, II, 7 «Tu, perché intendi sotilmente Esopo, | gentil ingegno, ad ogni passo oscuro | poray chiosar el testo, et io non curo | ch’el rude vulgo snodi questo gropo»; Fazio degli Uberti, Rime, V, 4 «se di questi miei versi | chiosi il ver, sì che no gli versi») registrato dal TLIO, s.v. ʻchiosareʼ, 2.1, e peraltro autorizzato dall’illustre precedente di Inf. XV, 88-90 («Ciò che narrate di mio corso scrivo, | e serbolo a chiosar con altro testo | a donna che saprà, s’a lei arrivo»). Dato il contesto, si propone di ricostruire con dolce suo mielle (solo per coerenza con la scelta del testimone base Bo1(5) si accoglie l’ordine sintattico qui attestato), ipotizzando che suo vada riferito a testo e che per dolce... mielle si alluda al messaggio amoroso sotteso al racconto, secondo il significato estensivo di ʻdolcezzaʼ presente nei repertorî (TLIO, s.v. 1; GDLI, s.v. 9 e 11). La rima stelle : mielle, con una forma infrequente, ma comunque ben documentata nel Corpus TLIO per diverse aree geografiche (Veneto, Emilia, Toscana, Abruzzo), potrebbe aver contribuito a produrre la diffrazione che ha perturbato la tradizione: anche qui, comunque, la lezione del testimone di ambiente beccadelliano sembra aver preservato meglio la sua fonte (con dolci sue amielle) rispetto al Riccardiano (cosue dolsiannelle), autorevole ma sempre molto impreciso.
In alternativa alla soluzione qui prospettata si potrebbe postulare a monte con sue doi fiammelle (Salvatore), più aderente alla documentazione dei testimoni e all’eziologia che per il guasto può prospettare R939. In questo caso sue andrebbe riferito a viso bello e le fiammelle indicherebbero gli occhi di Madonna, assegnando a giosa un valore più generico di ʻintendereʼ.
Lo schema metrico, raro, ha una corrispondenza in Monte Andrea, Eo veggio, donna, in voi tanta valenza (Sonetti, 23), fatta salva l’eccedenza di due versi della fronte, caratteristica di questo autore; meno consono il precedente di Guglielmotto d’Otranto, Salve, sancta veraze Ostia sacrata, dove la rimalmezzo connette pure fronte e sirma.
1 mai non vidi] no(n) vidi mai R939 ~ da meza] dimezza R939
3 rumore] rumor Bo1(5) ch’in l’arco] colarcho R939
4 facea dar botte] fatta darlebotte R9393
6 cotte] corte R939 ~ fervore] favore R939
7 Vedi] vedeua R939 ~ parea] e paria R939
8 se no⸱ tte] sta notte Bo1(5), se no(n)ti R939 ~ fia] fa R939
9 potei dir ʻEccome!ʼ] potra dire como R939
10 questo] questi Bo1(5)
13 un viso] vnuso R939
14 giosa] chiosa R939 ~ †con dolci sue amielle†] cosue dolsiannelle R939