Bibliografia: Debenedetti, Per le disperse, pp. pp. 99-100.
Schema metrico: sonetto A(a
5)B(b
5)A(a
5)B(b
5) A(a
5)B(b
5)A(a
5)B C(c
3)D(d
5)C(c
5) D(d
5)C(c
5)D
Quasi sempre soddisfacente la testimonianza di Bo
1(5), f. 204r, parte del tardo agglomerato sopraggiunto a completare la raccolta di rime antiche allestita negli anni da Ludovico Beccadelli e Antonio Giganti; ad essa si affianca soltanto quella di R939 (f. 102ra), più antico ma anche più corrivo e propenso alle innovazioni. Sua l’attribuzione petrarchesca, entro una silloge esplicitamente dedicata al poeta (a f. 101ra la rubrica «Sonetti fatti p(er) mes(ser) francescho petrarcha poeta fiorentino») che inserisce il sonetto tra
Rvf 322 e
Rvf 120: essa rimase ignota al Solerti e fu segnalata per la prima volta da Debenedetti,
Per le disperse, pp. 99-100. Nel codice bolognese il testo si presenta invece adespoto, posto in una zona di confine tra una serie guinizelliana e un’altra di testi missivi petrarcheschi che dà voce anche ai corrispondenti.
Discostandoci da Bo
1(5) al v. 8
stanotte, si postula una diffrazione in assenza (ma sul piano meramente sostanziale essa si può pure definire in presenza) ricostruendo
se no⸱ tte (:
darotte), secondo le indicazioni di R939
seno(n)ti; forma assicurata dall’incongruità della lezione del codice cinquecentesco. Ancora per osservanza alla testura metrica si accoglie 10
questo (:
presto) di R939, contro il testimone base (
questi). Al v. 3 si amplia infine
rumor di Bo
1(5) nella sua forma piena e «ancipite»
rumore (
romore R939), «trisillabo per la rima, bisillabo invece per il verso», secondo una fenomenologia scrutinata da Menichetti,
Metrica italiana, 543-548 (la citazione a p. 546). Merita di essere conservata al v. 14 la forma
giosa, ʻchiosaʼ, verbo, di Bo
1(5), attestato in area padovana (
Maramauro, Exp. Inf., cap. 15, p. 275: «Esso serva questi testi a la sacra teologia a giosare»; ivi, p. 277: «Questo fo figlio de miser Acorso, quello che giosò tut’el corpo de raxone»). Solo adiafore alcune alternative di R939: 1
non vidi mai; 1
di mezza; 3
co⸱ l’arco (con sintassi enumerativa, comunque meno persuasiva del meno ovvio accusativo alla greca del bolognese); 4
fatt’à dar; 14
sue dolsi.
Il repentino mutamento nella situazione narrativa, rende incerto il restauro del guasto prodottosi nell’ultimo emistichio del v. 14, che annoda i due testimoni in un rapporto di collateralità. Abbandonando repentinamente la figurazione allegorica, il sonetto sembra proiettare la situazione su un piano metatestuale in cui a Madonna si assegna il ruolo di destinataria e interprete del sonetto; a
giosa sembra infatti opportuno assegnare il significato di ʻintendere qualcosa o di sottinteso o di difficile comprensioneʼ (cfr.
Dondi, Rime, II, 7 «Tu, perché intendi sotilmente Esopo, | gentil ingegno, ad ogni passo oscuro | poray
chiosar el testo, et io non curo | ch’el rude vulgo snodi questo gropo»; Fazio degli Uberti,
Rime, V, 4 «se di questi miei versi | chiosi il ver, sì che no gli versi») registrato dal
TLIO, s.v. ʻchiosareʼ, 2.1, e peraltro autorizzato dall’illustre precedente di
Inf. XV, 88-90 («Ciò che narrate di mio corso scrivo, | e serbolo a chiosar con altro testo | a donna che saprà, s’a lei arrivo»). Dato il contesto, si propone di ricostruire
con dolce suo mielle (solo per coerenza con la scelta del testimone base Bo
1(5) si accoglie l’ordine sintattico qui attestato), ipotizzando che
suo vada riferito a testo e che per
dolce... mielle si alluda al messaggio amoroso sotteso al racconto, secondo il significato estensivo di ʻdolcezzaʼ presente nei repertorî (
TLIO, s.v. 1;
GDLI, s.v. 9 e 11). La rima
stelle :
mielle, con una forma infrequente, ma comunque ben documentata nel
Corpus TLIO per diverse aree geografiche (Veneto, Emilia, Toscana, Abruzzo), potrebbe aver contribuito a produrre la diffrazione che ha perturbato la tradizione: anche qui, comunque, la lezione del testimone di ambiente beccadelliano sembra aver preservato meglio la sua fonte (
con dolci sue amielle) rispetto al Riccardiano (
cosue dolsiannelle), autorevole ma sempre molto impreciso.
In alternativa alla soluzione qui prospettata si potrebbe postulare a monte con
sue doi fiammelle (Salvatore), più aderente alla documentazione dei testimoni e all’eziologia che per il guasto può prospettare R939. In questo caso
sue andrebbe riferito a
viso bello e le
fiammelle indicherebbero gli occhi di Madonna, assegnando a
giosa un valore più generico di ʻintendereʼ.
Lo schema metrico, raro, ha una corrispondenza in Monte Andrea,
Eo veggio, donna, in voi tanta valenza (Sonetti, 23), fatta salva l’eccedenza di due versi della fronte, caratteristica di questo autore; meno consono il precedente di Guglielmotto d’Otranto,
Salve, sancta veraze Ostia sacrata, dove la rimalmezzo connette pure fronte e sirma.