Testimoni:
LS178, f. 52r [attribuzione implicita]; Ra430, f. 138v [adespoto; solo vv. 1-2]
Bibliografia: Debenedetti, Per le disperse, pp. pp. 103-104.
Schema metrico: sonetto ABBA ABBA CDC DCD
Esilissima la tradizione del testo, interamente e impeccabilmente tràdito dal solo LS178, e limitatamente ai primi versi rappresentata anche (con poche varianti formali e il
lapsus calami del v. 2
coro) da Ra430, miscellanea di orazioni ciceroniane. Pure è notevole che in questo secondo testimone la registrazione, con a margine «nota tibi», sia compiuta sul verso di un foglio di guardia di seguito a una serie di versi latini di provenienza disparata (tra i quali i celebri distici
De virgine Deipara, «Virginitas peperit») e di carattere didattico o sapienziale vergati in tempi diversi, segno possibile di una trascrizione compiuta a memoria.
Non si interviene su 11
córpo ʻcolpoʼ, forma che nel
Corpus OVI, risulta attestata solo in area genovese, ma che pure si ritrova in un testimone probabilmente toscano di SAL33,
I’ vorrei inanzi stare in mezo un fango (Pr3(1), f. 14va: «del
corpo chio daro sopra larabbia»). Ben documentata la forma femm. plur.
scherne (v. 13).
Qualche chiosa merita 9
chiave, per indicare la ʻleva che regola il meccanismo di rilascio della corda tesaʼ (così il
TLIO, s.v. 12), e il sintagma
falsi occhi, attestato anche in
Cecco d’Ascoli, Acerba, L. 2, cap. 15, 1697 («E gli
occhi falsi, come li ammaestra | nel pianto per formar maggior affetto!») per indicare l’atteggiamento che la tradizione misogina attribuisce allo sguardo ammaliatore e traditore delle donne (cfr.
TLIO, s.v. ʻfalsoʼ, 2.2.4).
Più concettoso il significato dei vv. 9-11. L’idea di fondo è che il poeta, guardando l’amata, abbia
’nforcat(o) (v.10) la freccia che lo ha trafitto, ossia, fuor di metafora, creato la condizione dell’innamoramento, dando fiducia all'aspetto apparentemente benevolo degli occhi di lei (si noti infatti che il v. 12 rappresenta una glossa di questa terzina, ponendo le due parti in chiasmo:
mie fede biasmo, e biasmo l’altrui inganno); i
falsi occhi della donna, invece, ricambiando lo sguardo, hanno scoccato il
córpo (ʻcolpoʼ), cioè dato vita al suo amore e al suo tormento. Al v. 11 si sottilizza invece ponendo un’ulteriore distinzione fra l’intensità del corpo (vale a dire la potenza con la quale esso è stato scagliato), la quale risulta
forte, e la sua qualità
per se stessa (la forza offensiva della freccia), definita
grave.
Nei due manoscritti il sonetto si presenta adespoto, ma l’attestazione dello Strozziano, che lo incardina tra
Rvf, 211 e
Rvf, 218 entro una ricca silloge di
Fragmenta, vale come attribuzione implicita, assicurata peraltro, come notò il primo editore del testo, il Debenedetti (
Per le disperse, p. 98n), da una postilla a
Rvf 206, ove si fa esplicito riferimento al presente sonetto (f. 44r): «P(er) ligittima scusa per una | iniqua cagione, la quale | il Petrarca sapendo che lla donna sua il sentì, si mosse | p(er) la verità contra l’igno(r)ant[i] | e le
prave lingue, sì come | dice in un sonetto. Biasmo | li scherni delle lingue prav[e] [= ES03, v. 13] | (et)c(etera). P(er)ò questa rima con | crudeli bastemie altenti|camente così (con)puose». Il dato, non aggiunge però molto alla questione attributiva, se non la constatazione che il sonetto si trova nel codice perché effettivamente ritenuto di Petrarca dal copista.
Data la qualità del testimone principale, l’intervento, come già per Debenedetti, si limita all’eliminazione delle vocali soprannumerarie (v. 3
mortale >
mortal; 7
crudele >
crudel). Ci si discosta dunque solo per minime differenze di interpunzione dall’ottima edizione precedente.